Venerdì 23 agosto, contenti come bambini, siamo tornati a Sant’Anna di Valdieri. Mentre la valle vi si chiudeva intorno, occhieggiavamo con sospetto ai nuvoloni che si arrotolavano intorno alle cime ma noi eravamo pronti, scorte di maglioni in macchina e scarpe belle chiuse, diciotto gradi non avrete il nostro scalpo. Come nelle migliori tradizioni, ovviamente, essendo pronti, eravamo pronti a vuoto. Sant’Anna era zuccherina, estiva, tiepida come il latte, Ale ci aspettava già con due bicchieri di bianco fresco, il noce enorme accanto al vecchio forno del paese aspettava già Pulìn. Abbiamo riempito l’anno passato col muso pucciato nel bicchiere e sembrava di esserci visti due giorni prima, rosicchiando salame ad un tavolino, colorando i grigi e aprendo cassetti. Abbiamo sistemato Pulìn sul prato, con il fiume che gli ruggiva accanto e quell’albero enorme a proteggergli la testolina, le seggiole vicine come ad una veglia, la regìa accoccolata contro la parete del forno, e poi ci siamo riempiti la pancia di peperoni e ravioli. Quando Pulìn ha cominciato a raccontare, carezzato da quel noce enorme, si è trovato chi lo ascoltava dalle sedie, chi dal muretto, chi seduto per terra col viso appoggiato alle ginocchia ed è stato un raccontare senza fiato, una cascata in quel buio liscio, tutti nel bosco ad imparare odori nuovi: la signora che sorrideva sempre, il ragazzo con gli occhi lucidi, la bimba che non ha mosso un muscolo mai, tutti ad accompagnare la foglia ammiraglia nel Salto, tutti a stringere i denti per la primavera. Grazie a chi si è lasciato portare per mano, grazie a chi ci ha portati per mano. A chi aveva sei anni, a chi ha spalancato la tenerezza, a chi luccicava.
Grazie al Parco delle Alpi Marittime per averci ospitati ancora all’ecomuseo della segale e grazie mille volte Ale, Fra e Irene, per la bellezza grande e le chiacchiere e la fiducia, perché ci siamo sempre visti l’altro ieri.
E grazie montagna bella, grazie che non ci lasci cadere.