Domenica 11, per la prima volta, siamo saliti al Rifugio Levi Molinari.
La montagna radunava qualche nuvola ad imbellettare le cime, i larici erano solenni e ridanciani ed i mirtilli carichi, e sì che ci avevano detto che era bello, ma bello così, con il fiume su entrambi i lati ed un’erba che implorava riposini, non l’avremmo nemmeno sospettato. Abbiamo mangiato la nostra carriola di polenta concia e un’insalata capricciosa (per tenerci leggeri) e buono che era tutto, buono da cedere all’erba e fare veramente un pisolino accoccolati sotto un larice, che vita grama, che lavoro ingrato.
Lidia ha iniziato a raccontare la sua storia con il fiume che le brontolava accanto, davanti a persone arrese da subito, venute apposta, incontrate dopo millenni, fermate per caso e bloccate per voglia, sensibili come un violino ad ogni sospiro, ogni movimento, ogni tremore della bocca. Che bello danzare insieme, in quella notte lì. Che belle eravate, disperate e forti e feroci.
Grazie per esservi gettate ad occhi chiusi, sulla fiducia, con la fiducia. Grazie ai francesi che non hanno capito nulla ma hanno ascoltato tutto, al gruppo che doveva scendere a valle ed ha pianto camminando all’indietro, a chi ha fatto un regalo, a chi ha riconosciuto i vacherot e le servente.
Grazie infinite a tutte le ragazze del rifugio, che bello vedere un matriarcato in montagna, grazie per i killers a palla dalla cucina, per le chiacchiere mentre gocciola il cielo, per le pinte di caffè, grazie Dario per averci presentati, per esserti occupato e preoccupato, buona fortuna. Grazie montagna enorme per la pioggia, il peso ed i denti scoperti. E grazie Flavia, grazie per l’esperimento, le storie, le bestemmie, le promesse. Non vediamo l’ora di tornare.