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Venerdì 16 siamo tornati, dopo due anni di assenza, al rifugio carlo porta. L’universo si muove in modi strani e bellissimi, perché siamo tornati sì con una nuova gestione, ma una gestione che noi già conoscevamo da altri anni, altre montagne ed altri rifugi. Abbiamo riabbracciato Iris come s ci fossimo salutati un paio di giorni prima, salutato un rifugio rinnovato, luccicante, curatissimo e con un paio di pini in meno ma un sacco di vista in più. Abbiamo bevuto un bicchiere di vino mentre il sole accarezzava il lago di Lecco, mangiato patatine fritte come bambini, ci siamo goduti la cena come una coccola perché, e non è scontato, era già tutto pronto. Il nostro palco d’erba appoggiati ad un vecchio faggio, le sedute, le panche di legno, tutto aspettava già il temporale, ed arrivare in uno spazio così pronto, così pensato, fa sentire voluti in una maniera che accarezza. Abbiamo montato, salutato chi tornava a vederci da altrove con quegli occhi affamati e bellissimi cercato altre sedie perché non bastavano più, e quando Sole e Tiglio hanno cominciato a raccontarsi c’era la luna alta sopra il rifugio ed un silenzio soffice, attento, liscio, che non ci ha lasciato mai.
Grazie per aver pianto e riso e respirato piano, grazie per aver abbracciato Tiglio e preso Sole per mano, grazie per aver sospirato per Dino e stretto i denti per Gidio. Grazie per aver reso tutto così facile. Grazie per gli abbracci stretti, grazie a chi non aveva mai pianto a teatro, a chi ha usato il termine “immenso” che ci fa sentire così piccoli e grati, grazie per una notte così bella.
E grazie Iris. Per averci voluti di nuovo, per la cura, per il bene che metti in quello che attraversa le tue mani, grazie perché avremmo voluto fermarci di più. Grazie.