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Giovedì 1 eravamo a Calci, sospesi sopra la piana pisana, con Livorno che luccicava laggiù in fondo.
Le cicale scuotevano l’aria ferma, la cicoria ci si aggrappava all’orlo della gonna e su una tavolata di legno comparivano mozzarella, friulano fresco e acqua di fonte. Abbiamo conosciuto gli InFestanti, mangiato insieme come se fosse una tradizione di lunga data.
Il pubblico si arrampicava coraggioso fino all’Insetata, la cascina era amorevole e innamorata, gli occhi generosi e le luci che cominciavano ad accendersi in lontananza sembravano dondolar sull’acqua. Quando Lidia ha iniziato a raccontare le cicale avevano timbrato il cartellino e c’era un silenzio dolcissimo, sembrava che tutto il monte, proprio tutto, si fosse fermato ad ascoltare. È stato tenero, materno e feroce, un raccontare innamorato che risaliva l’uliveto, un rituale di riscoperta a piedi nudi, e raccontare così vale tutto il sudore (che è stato tanto. Toscana, tu sei pazza.) Grazie per quel gelato con il mosto cotto a rinfrescare la gola, per gli abbracci sprezzanti dell’appiccicaticcio, le chiacchiere piene seduti sull’erba, i muretti a secco che sono lì a parlare di un prima che, nelle sere giuste, con le persone giuste, smette di avere un confine. Grazie Raffaella per averci chiamati, grazie a tutti quelli che sono venuti e tornati ad ascoltarci, grazie agli InFestanti per una sera che sapeva di grande e di buono. Al monte che ci porta sulle spalle, agli ulivi arrotolati, all’acqua di fonte, grazie, grazie, grazie.