Domenica 28 siamo saliti a Upega con uno sguardo fisso al cielo, che non pareva bellicoso. Abbiamo salutato il Tanaro e le mucche con gli occhi teneri, abbracciato Richard, ci sei mancata Vale!, e mangiato all’ombra delle rose sentendoci coccolati. Il Marguareis ci guardava da lassù con gli occhi stretti e un ghigno dei suoi. Ah sì? Quest’anno non venite su? Non preoccupatevi, vengo giù io. Ma noi siamo scemi come cuccioli e non l’abbiamo visto. Abbiamo montato sotto la tenda, aspettato che tutti fossero sulla loro seggiola, e poi Pulìn è iniziato dal fango davanti a occhi dolci, curiosi, a visi che rispondevano e tornavano e viaggiavano con noi per la prima volta e poi, mentre la foglia ammiraglia si preparava al salto, il Marguareis ha deciso che era il suo momento, si è schiarito la gola e poi ha lanciato tanta di quell’acqua, ma tanta di quell’acqua da non riuscire più a sentire niente, da costringerci a fermarci, stringerci tutti al centro e guardare fuori chiedendoci dove la tenesse, prima, tant’acqua così. Abbiamo temuto davvero di doverci interrompere. Anzi, abbiamo cominciato proprio a smontare, a dire il vero, ma il Marguareis ha il suo senso dell’umorismo e, appena arrotolati i cavi, ci ha fatto una carezza ed è tornato a dormire. La cosa bella, bella davvero, è che nessuno si è mosso. Abbiamo ricominciato a raccontare come se non ci fossimo mai fermati, tutti insieme, solo più umidi e più vicini, e siamo infinitamente grati a chi c’era e con una forza bellissima ha detto a Pulìn “appoggiati, continua, ti porto io”. Grazie, grazie per la forza e le domande e le lacrime, grazie a Sofia per gli occhi stupendi pieni di vita e l’aiuto e il cuore enorme, non cambiare per piacere che se questo è il futuro è un futuro bellissimo, grazie Richard per averci ospitati di nuovo, la prossima volta avremo anche calma, grazie Marguareis, mannaggia a te, ti va bene che sei bello.